Esplorando il proibito
Shinobi Dō e la Filosofia del Kinshinden
In questo articolo tratterò le origini simboliche e filosofiche del nome scelto per il nostro Dōjō, il quale non è, naturalmente, casuale.
"KINSHINDEN" è il collettore, l’insieme delle arti complesse e dei metodi più semplici che pratichiamo in ambito marziale. Le traduzioni dalla lingua giapponese possono essere molte, con diverse sfumature a seconda del contesto in cui la parola viene utilizzata.
Ora, cosa sottende a questa scelta, che ai più potrà sembrare singolare?
La pratica delle arti marziali è stata da sempre considerata non solo un mezzo per l'addestramento fisico e la difesa personale, ma anche una via per l'illuminazione spirituale e la crescita personale.
Nel contesto dell'arte marziale dello
Shinobi Dō, praticata nel
Dōjō
Kinshinden, il "proibito" assume un significato particolare che funge da concetto filosofico di fondo.
La trasgressione filosofica del proibito, sia nel contesto giapponese così carico di simbolismo religioso, culturale e sociale, che nel contesto delle moderne società occidentali, può diventare un'opportunità unica per l'autoesplorazione e l'introspezione.
L'individuo che si avventura in zone proibite diventa un "reietto," una figura che contesta le norme sociali o religiose del proprio ambiente. Questo stato di 'reiezione' è in grado di scatenare un'intensa riflessione personale, spingendo l'individuo a riconsiderare e a riconfigurare la propria identità in rapporto alla comunità e al mondo in generale. Questa trasgressione diventa, quindi, un modo per affrontare e comprendere la complessità della propria psiche, fungendo come un catalizzatore per la crescita personale e spirituale.
Ma il tema del "proibito" non è solo un viaggio nell'intimo della psiche umana; è anche un richiamo per esaminare i
sistemi di autorità, controllo e potere che definiscono cosa sia proibito e cosa no. Questa domanda incalza a riflettere sull'importanza del rispetto di sé e della propria individualità in contrapposizione alle norme sociali e religiose imposte, quand'anche più che legittime. È una questione che tocca la radice dei concetti di autorità, di conformità, di spirito critico e di autodeterminazione, portando a interrogativi fondamentali sul significato e sul valore della vita umana all'interno di complessi sistemi sociali e culturali.
Il termine "Shinobi" può essere interpretato in vari modi, ma è generalmente associato alla figura iconoclasta del ninja o, più accuratamente, allo "Shinobi no mono," ossia "persona infiltrata." Così come il ninja si infiltrava in territori proibiti (violando le norme sociali e oltrepassando clandestinamente le barriere di confine feudali), anche lo Shinobi Dō incoraggia una sorta di esplorazione "proibita," ma in un contesto interiore e spirituale. È una disciplina che invita a entrare in quelle zone della psiche e dello spirito che sono spesso evitate o trascurate, quei luoghi interni che, analogamente alle zone proibite del Giappone, sono carichi di "demoni" e "mostri" personali che aspettano di essere affrontati e compresi individualmente.
La "violazione filosofica del proibito" diventa non una ribellione senza scopo, ma un modo per accedere a nuovi livelli di comprensione e crescita:
Chi ci ha proibito o proibisce qualcosa?
- Altri - La religione o un culto oppressivo? Il gruppo sociale o famigliare? L'ideologia?
- Noi stessi - Le nostre convinzioni? La nostra morale? Le nostre paure? I nostri traumi?
Perché? E sappiamo riconoscere sempre quando e a chi cedere la delega che permette una restrizione nei nostri confronti?
In Kinshinden anche la
tecnica marziale è coinvolta da queste riflessioni. Le moderne arti marziali hanno giustamente “proibito” l’utilizzo di molte di quelle tecniche che sarebbero risultate pericolose nella competizione sportiva, ma esse erano un bagaglio importantissimo nelle arti marziali antiche. Tecniche che prese a sé singolarmente non avrebbero probabilmente cambiato mai l’esito di uno scontro ma che, nel loro insieme, ampliavano il ventaglio di possibilità a disposizione nelle innumerevoli condizioni personali ed esterne, che si sarebbero incontrate nel corso della vita e in confronto con ipotetici avversari.
Ecco che nello
Shinobi Dō studiamo, riscopriamo, mettiamo in pratica e alla prova molte di quelle tecniche, metodi e strumenti, confrontandoci con gli effetti delle nostre scelte.
Scegliere autonomamente in piena consapevolezza se rispettare o violare il divieto necessita, in entrambi i casi, di grande coraggio. Coraggio indispensabile se si vuol essere timonieri del proprio destino, consapevoli del prezzo da pagare per ognuna delle due scelte e riuscendo eventualmente nel difficile compito di ignorare ostracismo e riprova sociale (sia da parte dei "trasgressori" che dei "conformi").
Persino nella difesa personale si violano dei divieti socialmente condivisi: prima di tutto il divieto prossemico (a violare lo spazio interpersonale), il divieto alla "maleducazione" e all'inganno - necessari per uscire indenni da situazioni disperate, e poi il "divieto" all'utilizzo, seppur controllato, della violenza.
Kinshinden non promuove l'idea di infrangere le regole. Al contrario, offre un insieme di regole e linee guida. Nello stesso tempo, incoraggia i propri praticanti a riflettere costantemente sulla responsabilità, sia come individui che come parte di una comunità, di riconoscere e interrogare le regole che governano la propria vita.
Lo Shinobi Dō non è un percorso per i deboli di cuore. Come la persona reietta che osa entrare nelle zone proibite delle montagne giapponesi, lo studente del Kinshinden si avventura in un viaggio interiore che può essere tanto pericoloso quanto illuminante.
In conclusione, sondare il "proibito," nella sua manifestazione interna alle tradizioni, ai luoghi, alle arti marziali, alle società, ci occorre come un prisma multidimensionale attraverso il quale esaminare una serie di aspetti fondamentali dell'esperienza umana. Si presenta come una sorta di barriera e di cancello, una zona di transizione tra il noto e l'ignoto, tra l'io e l'altro, tra l'umano e il divino. E attraverso questa transizione, siamo invitati a una riflessione più profonda su ciò che significa essere umani, a sfidare le nostre convinzioni più radicate e a muoverci verso una maggiore comprensione di ciò che è dentro di noi e ciò che è fuori di noi.
Kinshinden.