Il Lato Oscuro della Paura: da scudo a prigione (2)
Una nuova Lezione ne "La Mente sopra La Lama"
SCENARIO - PARTE 1: NUBI SI ADDENSANO
Un venerdì sera, in primavera. Parcheggiamo sopra i Murazzi, a Torino. È un periodo difficile per me, e tre dei miei amici, tre dei miei compagni del dōjō, tre miei allievi, mi sono vicini nel propormi una serata spensierata, tra birra, racconti e risate.
Ci dirigiamo verso Piazza Vittorio - poi, il cambio di frequenza.
Il vociare dei passanti ammutolisce, rumori sordi e urla strozzate: due anziani - marito e moglie, a una decina di metri da noi vengono circondati e aggrediti da un gruppo di cinque persone; sono loro addosso, come uno sciame di vespe.
Un tentativo di strappare la borsa alla signora, la risposta scomposta ma impavida del marito, che viene fatto subito oggetto di attenzioni, con la sua collanina d'oro.
Potevano essere i miei genitori, i miei nonni: una forza e una dignità di una vita vissuta a spezzarsi la schiena, una serata da passare insieme in centro città. E poi l’aggressione - e la risposta indignata, con la pressione che sale ormai un po’ troppo a causa dello spavento e dello sforzo fisico. Intorno, passanti che affrettano il passare, inconsciamente rassicurati dal fatto che la sfortuna non sia toccata a loro.
E noi? E io? (...)
DI COSA HAI PAURA? (SPOILER: LA TUA RISPOSTA È SBAGLIATA)
Se ti chiedessi qual è la tua paura più grande, cosa risponderesti?
Siamo condizionati a pensare alle fobie "classiche": i ragni o i serpenti, il buio, le altezze. Crediamo siano queste le grandi paure dell'uomo. Ma ci sbagliamo.
Gli studi clinici sul trauma e sulla sopravvivenza psichica hanno evidenziato una forma di paura che, per intensità e impatto sul nostro cervello razionale, tende a distinguersi dalla maggior parte delle altre minacce. Non parliamo della paura della morte accidentale o per malattia, ma di qualcosa che colpisce più in profondità: è la Fobia dell'Aggressione Interpersonale.
PERCHÉ L'UOMO È IL LUPO PER L'UOMO
Perché questa distinzione è così fondamentale? Il DSM (il manuale diagnostico di riferimento della psichiatria mondiale) evidenzia una differenza cruciale negli strascichi psichiatrici dei traumi. Se sopravvivi a un disastro naturale, come un terremoto o un'alluvione, proverai terrore puro. Il dolore di un lutto, la paura di ammalarsi o morire per quanto ponga questioni definitive, sono naturali. Ma la Natura è indifferente, non ce l'ha con te personalmente. Il trauma, per quanto grave, tende ad essere elaborabile.
Quando è un altro essere umano invece a scegliere intenzionalmente di farti del male, di violare il tuo spazio, di abusarti, di predare un suo simile... questo è psicologicamente devastante. L'aggressione interpersonale frantuma la nostra visione del mondo, il nostro senso di sicurezza, la nostra autostima, la nostra identità, la fiducia nel "contratto sociale".
Di fronte a dei predatori della nostra stessa specie, il nostro cervello antico riconosce la minaccia suprema. E per proteggerci da questo shock intollerabile, innesca il meccanismo di difesa più primitivo: il congelamento (o "freeze"). La paralisi che ti impedisce di reagire, o che spinge i passanti ad affrettare il passo, a non guardare.
PAURA VS. FOBIA: IL CONFINE TRA REAGIRE E SUBIRE
Qui sta il punto cruciale, che abbiamo già toccato ma che va ribadito: provare questa paralisi non significa essere dei codardi. È una reazione biologica iscritta nel nostro DNA.
La Paura è sana. È quel brivido che ti dice "c'è un pericolo, stai all'erta". La paura ti parla, ti dà informazioni. La Fobia è quando quella paura diventa un urlo assordante che spegne il tuo cervello. Ti toglie la capacità di ragionare e di agire. Ti trasforma da testimone (o vittima) capace di reagire, in uno spettatore paralizzato.
Il problema è che, se non impariamo a gestire questo meccanismo, questo allarme biologico ci rende complici, o vittime. La differenza tra chi resta paralizzato a guardare e chi agisce non è l'assenza di paura, ma la presenza di un qualcosa che è più forte della fobia stessa.
SCENARIO - PARTE 2: LE NUBI SI DIRADANO
(...) Qualcosa è scattato. Non è stata una decisione razionale, è stato un interruttore interno. Non c'è stato bisogno di parlare. Lo abbiamo sentito tutti: il senso di ingiustizia, la nausea per quella prepotenza sui deboli e persino l’amor proprio (come avremmo convissuto con il non aver fatto nulla?), ci hanno spinto a varcare la porta chiusa dal terrore biologico.
Non siamo corsi urlando come nei film. Abbiamo camminato veloci, compatti, decisi ma attenti, rompendo il cerchio degli aggressori. La mia voce proveniva dal ventre, intimando l’interruzione di quella predazione. Sotto gli occhi increduli dei passanti, degli aggrediti e degli aggressori: una voce, due spinte ferme, un calcio, ma eravamo pronti a ciò che sarebbe arrivato. Il branco si è rotto, poi si sono dispersi, correndo giù, passando dalla scalinata verso il Po. L’effetto sorpresa, la fermezza e l’autocontrollo avevano fatto il loro lavoro, fortunatamente senza effetti collaterali per nessuno.
Mentre ci assicuravamo che i due anziani si riprendessero dallo shock, tremanti ma salvi, sapevo cosa era successo.
Noi avevamo sperimentato la stessa, identica, gelante fobia dei passanti. Ma avevamo affinato gli strumenti per scegliere di agire nonostante quel gelo.
COSTRUIRE LA RESILIENZA: OLTRE LA BIOLOGIA
Quella sera ha funzionato, ma non è un singolo interruttore che si accende, né che rimane premuto. È una trasformazione profonda che avviene quando la competenza tecnica incontra la preparazione mentale, ma soprattutto, quando entrambe si fondono con un solido senso di giustizia e autostima.
L'addestramento costante — tecnico, psicologico e morale — ha costruito nel tempo una risposta alternativa. Ha creato una piccola crepa nel muro della fobia, uno spazio dove la mia competenza e il mio senso di giustizia possono infilarsi e provare a prendere il comando.
Ma questo potere comporta un'ombra. La capacità di rompere quella paralisi porta con sé la tentazione di eccedere. Il vero addestramento morale sta nel non varcare mai la linea sottile che separa il proteggere dal punire. Che io rimanga un guardiano e non diventi un vendicatore, che non "straripi" dal ruolo di cittadino solidale a quello di giustiziere, sarà ogni giorno una mia precisa scelta e responsabilità. Saper accendere l'interruttore, saperlo spegnere.
È una doppia battaglia quotidiana. Da un lato la scelta etica, dall'altro la realtà biologica. Perché ognuno di noi resta umano, e quella biologia primordiale è sempre lì. Ogni volta che la fobia si presenta, è un nuovo scontro interiore dall'esito incerto.
Che quella paura smetta di essere una sentenza di paralisi e diventi un segnale da gestire non è una garanzia, ma una ricerca alla quale sottoporsi quotidianamente. Ma, in quella lotta interna, non sei più disarmato contro la tua stessa natura. Hai un metodo. E quel metodo, unito alla dedizione, funziona.
LA MENTE SOPRA LA LAMA¹
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