Il re del tatami
Una dura Lezione ne "La Mente sopra La Lama"
SCENA 1
Marco non camminava, scivolava. Anni di
tatami
gli avevano regalato quella postura liquida, quel controllo dello spazio che le persone normali non notano, ma che le ragazze istintivamente consideravano molto sexy. Era un cintura nera, un agonista, un collezionista di oro. Per lui il mondo non era un luogo caotico, ma una serie di geometrie risolvibili. Vedeva le distanze, valutava i baricentri, anticipava le intenzioni. Quella sera, sotto i portici di Via Po, si sentiva come ovunque nel suo elemento. La giacca di pelle gli stava perfetta, il sorriso era rilassato. Era il maschio alfa, il protettore del gruppo, colui che, conscio delle proprie risorse, ha la soluzione tecnica per ogni problema. Quando sentì l'urto sulla spalla, non provò paura. Provò una calma quasi clinica. "Ecco un'opportunità", pensò - "Un momento per mostrare quello che so fare".
SCENA 2
Si girò lentamente, inspirando forte. Di fronte a lui c'era un ragazzo malandato. Felpa sporca, occhi lucidi, postura sbilanciata. Un mingherlino. Marco analizzò la situazione: guardia aperta, mento alto, appoggio instabile. Un dilettante.
Il ragazzo ringhiò un'offesa, Marco ribattè con la sicurezza della ragione. Quando il mingherlino sembrò tendersi maggiormente, Marco fece un passo avanti, petto in fuori, mani basse, in una postura di sfida e di dimostrazione di superiorità. Stava già visualizzando la proiezione perfetta, pulita, elegante, che avrebbe fatto atterrare il tizio senza nemmeno spettinarsi. «Hai scelto il giorno sbagl...» iniziò a dire, con la voce impostata.
Non finì la frase. Non vide arrivare nulla. Nessun caricamento, nessuna tecnica, nessun preavviso. Solo un'esplosione bianca al lato del viso. Il "mingherlino" non aveva combattuto: in un nano-secondo il suo braccio era scoccato come una fionda, la sua mano a pugno la sfera di acciaio che colpiva la mandibola.
Marco cercò di riaversi dallo shock, le gambe molli. L'istinto della materassina gli urlò di chiudere la distanza, cercò di afferrare la giacca dell'altro per una proiezione, ma le sue mani trovarono solo aria. I suoi riflessi erano in ritardo di due secondi. Ora un calcio sgraziato, ma nuovamente secco, lo colpì alla tibia, facendolo piegare. Infine il mingherlino strinse nuovamente la mano a pugno e dal basso verso l’alto gli spense un occhio. Dov'era l'arbitro? Dov'era il ritmo? Dov'era la tecnica? Si ritrovò a terra, con in bocca il sapore dolciastro del sangue e amaro della polvere, mentre l'altro gli sputava addosso e se ne andava ridendo, lasciandolo lì come un sacco vuoto, circondato dagli amici attoniti.
SCENA 3
Due giorni dopo. Il borsone dell'allenamento era nell'angolo della stanza, perfetto, intatto. Marco lo fissava dal letto. Il gruppo WhatsApp della palestra vibrava di notifiche: "Stasera randori!
Chi c'è?".
Marco si toccò lo zigomo gonfio. Poteva inventare una scusa. Poteva dire che era scivolato. Poteva tornare lì e allenarsi più duramente. Ma non era il dolore fisico a tenerlo fermo. Era il crollo del suo mondo. Aveva passato vent'anni a studiare le risposte, per poi scoprire che non aveva mai capito la domanda. La sua "arte" era stata spazzata via in tre secondi da qualcuno che non aveva mai messo piede in un
dōjō. Sentì un vuoto freddo nello stomaco. Non era paura di combattere. Era la sensazione terrificante di aver vissuto in una bugia. Spense il telefono. Quella sera, il Re del Tatami abdicò in silenzio.

ANALISI: PERCHÉ IL RE È CADUTO?
Ho scritto questa storia perché Marco sono io.
Marco siamo noi.
La maggior parte di noi ha varcato la soglia di un
dōjō cercando sicurezza, e ha finito per trovare un luogo confortevole, ordinato, dove le regole sono chiare e
la gerarchia è rispettata -
persino in combattimento. Un luogo dove, se sei bravo, vinci.
Ma quella sera in Via Po, Marco non ha perso perché non era bravo. Ha perso perché giocavano due giochi diversi: lui stava giocando a scacchi, mentre l'altro stava giocando a rovesciare il tavolo.
Analizziamo il crollo del "Re del Tatami" non come un errore tecnico, ma come un fallimento sistemico delle illusioni in cui viviamo noi praticanti di arti marziali.
La Mappa non è il Territorio
Alfred Korzybski, padre della semantica generale, coniò la celebre frase:
"La mappa non è il territorio". Marco aveva una mappa dettagliatissima (il
tatami): conosceva le distanze, i tempi, le reazioni standard di un avversario che vuole
confrontarsi secondo un codice. Ma il territorio reale (la Strada) non è fatto di
scambi alla pari: è fatto di caos, asimmetria e predazione. Inconsciamente Marco ha cercato di applicare le regole della mappa sportiva, quella per lui più familiare (era settato su guardie, posture, distanze, "controllo", "saluto" e attesa del "via") a un territorio che non le riconosce. Ha proiettato la sua aspettativa di un "duello onorevole" su un atto di pura violenza predatoria.
La Trappola della "Persona Civile"
Marco è figlio della sua educazione: anche nel conflitto, cerca inconsciamente una giustificazione e una legittimazione sociale. Si è messo
in posa, ha parlato, ha atteso. Perché? Perché la nostra cultura ci insegna che la violenza è l'ultima ratio, preceduta necessariamente da un rituale di negoziazione da imporre, con un filo di disprezzo, sul "volgare" uomo della strada. È l'arroganza della civiltà: non solo credere che le regole sociali siano una barriera magica contro la brutalità, ma pretendere di educarla, redarguirla, giudicarla dall'alto in basso. Il "mingherlino", libero da zavorre morali e giudizi, non ha negoziato. Ha agito. Mentre la mente "civile" di Marco cercava il permesso morale per scatenare la forza, la mente "predatoria" dell'altro aveva già premuto il grilletto. In quel secondo decisivo, civiltà e presunzione non sono state il suo scudo, ma la sua gabbia.
Hybris e Manierismo: L'Estetica sopra l'Efficacia
C'è un passaggio cruciale nella storia:
"Stava già visualizzando la proiezione perfetta, pulita, elegante".
Qui risiede la Hybris (la tracotanza) dell'artista marziale moderno. Marco non voleva solo sopravvivere; voleva esibirsi. Voleva soddisfare il suo ego e la sua vanità. Il suo manierismo è l'innamoramento della forma a discapito della funzione. Marco cercava la proiezione da manuale, quella da 10 punti, quella che si vede nei film. Ma la violenza reale è sporca, brutta, caotica, ha un pessimo odore. Cercare la pulizia tecnica nel fango di una rissa è un lusso che si paga con il sangue. Miyamoto Musashi stesso scriveva del resto che l'unica vera intenzione deve essere "tagliare il nemico", tutto il resto è decorazione inutile.
RICOSTRUIRE SULLE MACERIE
Il dolore di Marco nella Scena 3 è il momento più importante. È il momento in cui l'illusione muore. Molti, come lui, smettono. Si sentono traditi dalla loro arte, convinti che sia fallimentare o che lo siano loro. Altri cercano una compensazione nella brutalità, abbandonando la tecnica per cercare di trasformarsi in "pitbull da combattimento", inseguendo una realtà più cruda ma spesso altrettanto incompleta.
Ma c'è un'altra via. Non dobbiamo buttare via i preziosi tesori del dōjō. Dobbiamo solo smettere di confondere la mappa con il territorio. Dobbiamo capire che la tecnica fisica è uno strumento inerte se non è guidata da un "sistema operativo" mentale capace di gestire il caos, la paura e la violenza grezza.
Non serve imparare nuove mosse. Serve imparare a pensare in modo diverso prima che il mondo inizi a vorticare intorno a noi.
LA MENTE SOPRA LA LAMA¹
Il seminario "La Mente sopra La Lama"
non promette di renderti invincibile (quella è la bugia che ha condannato Marco). Promette di rivelarti le illusioni che ti rendono vulnerabile, lavorando su ciò che in palestra spesso si ignora: l'assetto mentale, la gestione dell'ego e la capacità di agire quando non ci sono arbitri o maestri a salvarti.
Se sei pronto a guardare oltre il tatami, ti aspetto.
14 Dicembre, Torino.
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